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Aurelio Musi

Questo contributo riprende un percorso di ricerca iniziato molti anni fa, precisamente fra gli Ottanta e i Novanta. Esso incrocia storia della medicina e storia delle professioni moderne attraverso l’analisi dei manuali di disciplina, la loro affermazione e diffusione nel corso del Seicento. Questo secolo è infatti il periodo in cui possiamo meglio cogliere i fattori genetici delle professioni moderne: non solo avvocati, medici, ingegneri, ma anche tutto quel mondo che oggi assimiliamo alla paramedicina (speziali e affini) e persino alla gestione dell’alimentazione e della gastronomia. Tra quei fattori genetici possiamo identificarne per lo meno tre: la trasformazione della nozione di virtus; la diffusione del neostoicismo; la formalizzazione, attraverso una rigorosa e analitica messa a punto, dei valori disciplinari. Il primo fattore indica il passaggio dalla virtus nativa alla virtus dativa, già annunciato in epoca umanistica ma nel corso del Seicento svuotato ormai di tutte le sue risonanze classiche: la coppia ars-virtus è ora articolata attraverso una minuta precettistica. Un contributo in tale direzione è offerto dalla fortuna di Seneca e dall’esaltazione del neostoicismo, egregiamente studiato soprattutto da Gerard Oestreich. La formalizzazione dei valori disciplinari occupa un posto privilegiato nei manuali che interessano diverse figure professionali: avvocati e medici, in primo luogo, ma anche la trattatistica su figure paramediche come quella del barbiere, da me studiata per il caso napoletano e sull’attività scalcaria presso le corti principesche ed ecclesiastiche.

Esemplare da questo punto di vista è l’opera del padre predicatore Enrico da San Bartolomeo Del Gaudio, pubblicata a Napoli nel 1644. Il suo titolo è già sufficientemente esplicativo: Scalco spirituale per le mense de i religiosi e de gli altri devoti, opera nuova mista di medicina corporale e spirituale di molto profitto ei padri e maestri dello spirito in guidare l’anime per vie d’asprezze e penitenze discrete. L’autore, di origine siciliana, vive tra la fine del Cinquecento e la metà del secolo successivo. Esercita la medicina a Napoli, dove contrae matrimonio. Ha due figli che si avviano alla vita religiosa, esempio che seguirà il padre dopo la morte della moglie. Maestro e guida spirituale di novizi, padre Enrico è anche confessore della principessa Olimpia Aldobrandini a cui è dedicata l’opera Scalco spirituale. Sceglie quindi la via delle missioni: nel 1648 è in Asia.  Seguono anni di vita avventurosa che si concludono con la morte a Costantinopoli.

Nel titolo questo manuale di disciplina contiene già una molteplicità di funzioni semantiche che vanno subito esplicitate: il significato proprio, per così dire, della funzione scalcaria come modo di “ben apparecchiare le mense de i religiosi”, come guida alla loro dieta quotidiana, come disciplina del cibo; un primo significato traslato, un primo slittamento semantico, operato attraverso l’uso metaforico di scalco che rinvia ad una codificazione delle sue funzioni e che rende possibile l’assunzione della via dello scalcare come un modello di vita; un secondo significato traslato, espresso nella coppia scalco spirituale, quasi un ossimoro che allude all’esigenza di edificare un contraltare sacro all’operazione profana dello scalco.

Dieci anni prima Mario Zuccaro, filosofo e medico napoletano operante all’ospedale di S. Angelo a Nido, ha pubblicato un trattato di nutrizione e dietetica, De vera ac methodica nutriendi ratione, Il suo fine è esaltare  la “ratio nutrendi more Parthenopeo”. Da sottolineare in questo trattato due elementi: il riferimenti a Galeno e alle sue regole dell’alimentazione legate alla teoria umorale e dei quattro elementi (aria, acqua, fuoco, terra); le numerose citazioni da Seneca, che fanno di quest’opera un caso esemplare della fortuna del neostoicismo nella cultura napoletana del primo Seicento. A Zuccaro si ispira tutto l’orientamento moderato dell’autore dello Scalco spirituale in materia di astinenza e di disciplina del corpo.

Sono regole che orientano la gestione dei consumi alimentari e la dietetica nei conventi e nei monasteri. Un utile studio è quello della Parziale sui consumi alimentari nei monasteri milanesi tra il Cinque e il Seicento. L’autrice affronta la problematica del digiuno quaresimale, la dieta nei monasteri differenziata dal resto della popolazione più per la quantità che per la qualità. La sua composizione prevede il pane e il vino come basi, il bilanciamento, una notevole ricchezza calorica (circa 2mila calorie quotidiane), l’alto consumo di pesce rispetto al resto della popolazione. Notevole è l’educazione al gusto e alla preparazione dei cibi.

Ma nello Scalco spirituale non c’è nessuna concessione all’articolazione alimentare e dietetica che ritroviamo nei monasteri femminili milanesi durante il periodo borromaico. Le finalità sono ben altre. Punto di partenza è il significato più specifico della funzione scalcaria, sviluppata nel primo trattato, “quali debbono essere le mense de i Religiosi e degl’Astinenti, e il modo di ben apparecchiarle”. Poi il percorso del padre domenicano delinea le tappe di un progressivo distacco dalla tavola come piacere, dai suoi sapori e dai suoi odori, di un esaltante ritorno agli elementi primigenii ed essenziali del cibo, il pane, di cui si lodano “eccellenza e doti”, e l’acqua, artefici della lunga durata della vita. Al centro del primo trattato sono “le regole di conservar sana la vita fra le penitenze, per mezzo de i principi e dottrina dell’arte d’Hippocrate, Galeno e dello spirito insieme”. Nel secondo trattato “si raggiona del modo per adoprar bene e senza offesa della complessione cilitii, catene, giacchi, centure, discipline, vigilie, nudità, sete, fame, orridezze de staggioni e duri letti”. Infine, nel terzo trattato, “si curano le malattie de spirituali che per indiscrete penitenze accadute fossero”.

Il padre predicatore tesse l’elogio degli elementi più semoplici della nutrizione, il pane e l’acqua, considerati mezzi efficacissimi, come già detto, per allungare la vita. L’elogio del pane è connesso alla sua qualità di “cibo di mezzo sapore”. Secondo la teoria umorale della digestione, il suo potere “conglutinativo” è superiore a quelli del pesce, delle erbe, della frutta, dei legumi, della carne che è nociva sia quando è troppo cotta sia quando è troppo cruda. Anche il potere di conservazione del pane è elevatissimo. Un intero capitolo del primo trattato è dedicato “al modo di ben comporre il pane; acciò non sia agl’astinenti dannoso; e sua origine”. Lo scalco spirituale suggerisce i requisiti e le qualità del frumento, delle mole del mulino, la scelta delle acque, i segreti dell’impastare e del cuocere.

Lo Scalco spirituale è in definitiva una teoria della condotta di vita. I suoi elementi più importanti sono:

  • L’ideale neostoico dell’esercizio virtuoso che, sulla scorta di Giusto Lipsio, concepisce la virtù come combattimento;
  • La praticabilità delle virtù a misura d’uomo;
  • L’omologia tra reggimento del corpo e reggimento dell’anima: il “retto reggimento del vitto” è il presupposto della “perfetta sanità corporale” che, a sua volta, è il principio della salute dell’anima;
  • Il nesso strettissimo tra virtù, equilibrio, armonia: è quasi configurata un’estetica delle virtù che nella coppia astinenza-temperanza ha il suo ideale di bellezza. “I sobri hanno il ventre assai ben composto e modesto: fuora d’ogn’indecente figura che apportar sogliono le ripienezze”. Cause di malinconia possono essere i due estremi: gli “appetiti compiuti”, ma anche la maniacale astinenza senza vigilanza, discrezione, temperanza.

 

Bibliografia

  • Enrico Da San Bartolomeo Del Gaudio, Scalco spirituale…, Napoli 1644
  • Musi, Lo “scalco spirituale”: un manuale napoletano di disciplina del corpo, (sec. XVII), in P. Prodi (a cura di), Disciplina del corpo, disciplina dell’anima e disciplina della società tra medioevo ed età moderna, Bologna 1994, pp. 481-495.
  • Musi, La disciplina del corpo. Le arti mediche e paramediche nel Mezzogiorno moderno, Napoli 2011
  • Parziale, “Per il vivere di una monaca”. I consumi alimentari nei monasteri milanesi tra Cinque e Seicento”, in “Dimensioni e problemi della ricerca storica”, 2 (2008), pp. 257- 280.
  • Zuccaro, De vera ac methodica nutriendi ratione, Napoli 1602