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Annunziata Berrino

1. Introduzione

La circolazione delle produzioni agroalimentari e della gastronomia della Campania nelle pratiche di viaggio e di soggiorno – tra fine Settecento e primo Ottocento – e nel turismo – a partire dalla metà dell’Ottocento – ha un andamento complesso e non lineare, perché segnato da accelerazioni, omissioni e incongruenze.

Va preliminarmente ricordato che si fa riferimento a una regione che ancora oggi presenta uno squilibrio strutturale nella distribuzione del fenomeno turistico sul territorio, da cui deriva che le produzioni naturali agricole e industriali e la cultura gastronomica delle aree interne nella comunicazione turistica in molti casi vengono genericamente assorbite e identificate con quelle dell’area napoletana. È un fenomeno che non è dovuto solo alla specificità della diffusione del turismo nella regione, ma anche nell’andamento generale della storia della gastronomia in Italia che vede l’indiscusso primato delle realtà urbane su quelle regionali.

Ancora in sede di premessa, va detto che della regione campana emergono prima le produzioni e solo successivamente la cultura gastronomica, che, specie agli occhi delle frequentazioni internazionali, resta glissata fino alla fine del Novecento.

 

2. La fama dei prodotti naturali campani nella cultura del viaggio e del soggiorno di primo Ottocento

La gastronomia campana non suscitava particolare interesse nei viaggiatori e soggiornanti stranieri di primo Ottocento in Campania. Le guide estere più accreditate consigliavano infatti di non lasciare mai Napoli senza provviste di cibo: così per visitare gli scavi di Pompei, così Sorrento o Capri.

Contemporaneamente però, sempre nel primo Ottocento il successo del golfo di Napoli nella pratica del soggiorno climatico veicolò il successo e produsse un avvio di valorizzazione di alcuni prodotti naturali. Il fenomeno era tipico del centro Europa ma, a seguito della veloce circolazione delle mode, giunse anche a Napoli. Ecco allora che alcune produzioni furono addirittura considerate curative di particolari patologie, come ad esempio l’uva campana o meglio vesuviana, gli agrumi sorrentini o le acque minerali di Castellammare. A questo proposito ricordiamo che in occasione del Congresso degli scienziati a Napoli del 1845 fu data particolare attenzione all’alimentazione degli uomini di cultura secondo principi naturali e con l’impiego di prodotti del territorio.

In quegli stessi anni cominciarono a essere decantati anche prodotti trasformati, tra i quali alcuni vini, certi butirri e le carni di vitelli da latte dell’area sorrentina; anzi la sempre maggiore frequentazione delle coste sorrentina e amalfitana e delle isole di Capri e di Ischia in particolare aumentò la ricerca di cacciagione e di pescato. La pratica della caccia in particolare alle pendici del Vesuvio o sulla costa o a Capri era una importante attrazione.

Il discorso è naturalmente diverso per le frequentazioni interregionali e nazionali e dunque italiane. La città di Napoli che, come si è detto, rispetto alla regione dominava gli arrivi fino a metà Novecento, proprio per la sua dimensione demografica e per l’ampiezza dei suoi consumi era in grado di offrire a quanti vi soggiornavano una varietà di servizi e di alimenti in grado di soddisfare le più diverse domande: cibo di strada, trattorie, cantine.

Infine anche qui le pratiche di viaggio e soggiorno più tradizionali, come i pellegrinaggi e la villeggiatura, mettevano in moto circuiti di produzione e consumo di prodotti particolari; per la Campania ricordiamo solo le nocciole o i torroni a Montevergine, o i biscotti che accompagnavano la bibita delle acque minerali dei villeggianti a Castellammare.

Dunque se nel primo l’Ottocento ci fu un relativo interesse per alcuni prodotti naturali, mentre ancora la gastronomia campana non era nemmeno ricercata, a fine secolo la notevole integrazione di Napoli negli scambi commerciali, in particolare marittimi, favorendo anche migrazioni ed emigrazioni, accelerò la circolazione delle produzioni agroalimentari anche su mercati più vasti, in particolare su quelli del continente americano. Contemporaneamente la cultura gastronomica regionale si compattava ed emergeva secondo la periodizzazione che caratterizza tutte le altre culture regionali, cioè solo tra fine Ottocento e primo Novecento, quando tutta la gastronomia nazionale conquistò una sua dignità.

3. Prodotti, produzioni e gastronomia campani nella cultura nazionale e nella cultura turistica nazionale

Bisogna tuttavia attendere la fine degli anni ’20 per avere una sorta di censimento e di mappatura della gastronomia italiana regione per regione nell’ambito della cultura turistica, alla stregua dei monumenti e dei paesaggi, secondo un’ottica acquisitiva propria del turismo. Vide così la luce la Guida gastronomica d’Italia, edita nel 1931 dal Touring club italiano a Milano.

È un testo importante perché fu un riferimento per tutta la letteratura guidistica successiva e soprattutto perché fu un testo di ampissima divulgazione, anche considerata l’eccezionale ampiezza del corpo sociale del Touring, capace dunque di contribuire alla codificazione delle identità gastronomiche regionali all’interno di quella più ampia nazionale. Il volume fu concepito in un momento nel quale la pratica turistica andava democratizzandosi, coinvolgendo, anche con la mediazione dello Stato, segmenti di popolazione sempre più ampi rispetto.

Nelle pagine dedicate alla Campania la Guida gastronomica d’Italia sottolineò subito che la gastronomia della regione si identificava con quella napoletana.

La gastronomia della Campania si identifica con quella di Napoli, la quale predomina nell’intera regione. Parlare quindi della cucina napolitana, delle usanze alimentari della metropoli, equivale a comprendervi quelle della zona campana, salvo quelle particolarità locali che per ciascuna provincia verranno notate[1].

Dopo un quadro generale della cultura alimentare dell’area napoletana, seguiva l’analisi delle grandi industrie alimentari della regione: quelle delle paste, quelle conserviere (il pomodoro) e quelle casearie (le mozzarelle). Seguiva un elenco analitico e puntuale delle pietanze e dei dolci. L’attenzione del testo era ovviamente concentrata sulla provincia di Napoli, ma non trascurava quelle di Avellino, Benevento e Salerno, delle quali, più che le gastronomie specifiche, venivano elencati i prodotti tipici.

Il progetto politico fascista non poteva non emergere e nel passo dedicato alle produzioni, le paste alimentari ricevettero particolare enfasi, considerate un alimento semplice e raffinato, salubre, nutriente, perfetto, insomma un alimento «infallibilmente» appropriato alla sanità agile e vigorosa della nostra razza.

Ma ancora più interessante, qualche anno dopo, fu lo sforzo, sempre condotto dal Touring, di correggere la fama di Napoli come città pantagruelica: «Napoli è passata, nei secoli, in fama di città preminentemente pantagruelica e carnascialesca, la città ove non si fa che vivere in cucina o tra orge e baccanali, la città della ghiottoneria. E non è vero. Diremmo quasi che tutto ciò non fu mai vero»[2]. Insomma gastronomia e mercati, si disse, erano ormai adeguati al buon gusto moderno e, se il colore era rimasto, si era ingentilito, nonostante la crisi. Si era infatti negli anni ’30.

4. Il secondo Novecento:  contraddizioni e incomprensioni

Dopo il secondo conflitto mondiale, si ebbe un’importante svolta: la cucina tipica, offerta nelle trattorie, non era più un eccentrico esotismo consigliato dalle guide solo in città come Roma, Milano o Firenze, ma era una ricchezza di tutto il territorio nazionale.

La prova è data da una pubblicazione dell’Enit del 1955. Si tratta di una piccola guida all’Italia per il mercato francese; nella sezione che descriveva gli alberghi si diceva che, nonostante gli alberghi italiani non mancassero di buona ristorazione, tuttavia la cucina alberghiera non poteva competere con quella dei ristoranti.

Faire des expériences gastronomiques dans les restaurants typique et même dans certaines «trattorie» parmi les plus modestes, est l’un des plaisirs les plus appréciés au cours d’un voyage en Italie[3].

Leggerezza, naturalità, riconoscibilità. La cucina italiana appariva semplice, veloce e naturale perché era il turismo del secondo dopoguerra, sostanzialmente costiero e estivo, a sollecitare un’offerta di cibo avente queste caratteristiche. Non erè dunque la cucina italiana ad essere leggera, semplice e naturale, ma quella che il turismo del secondo dopoguerra chiedeva all’Italia e che l’Italia a sua volta riuscì in grado di esprimere, valorizzando al massimo prodotti stagionali e un prodotto storico, come ad esempio la pasta. Non a caso l’ambiente in cui si consumava cibo non era più il grand hotel ma la trattoria spesso sul mare, all’aperto. E proprio mentre gli alberghi di lusso entravano in crisi, assieme alla loro specifica cultura di soggiorno e gastronomia, si fece strada il fenomeno del turismo di scoperta in automobile e in libertà. Il turismo automobilistico in libertà portò alla scoperta della gastronomia del territorio.

Fu dunque in quegli anni che la gastronomia napoletana emerse con tutta la sua ricchezza e il suo colore.

Ma fu una stagione breve perché seguì un ventennio difficile che si aprì a fine anni ’70: la standardizzazione della domanda turistica, resa più ferrea dai grandi operatori nord europei e aggravata dalla crisi economica rese più angusto il rapporto tra turismo e gastronomia, riducendolo ai pasti della ristorazione alberghiera preparati e serviti secondo un sistema di mensa aziendale. La logica era dettata dalla ricerca del prezzo più basso.

 

5. Prodotti e gastronomia campani dalle certificazioni al turismo olistico

Solo a partire dagli anni ’90, anche sulla base di profondi mutamenti culturali dell’Occidente che dopo la lunga stagione industrialista si avvicinava ai principi dell’olismo, il turismo cominciò a chiedere territorio e qualità.

Si aprì un’occasione per le aree interne campane, ma pur registrando un evidente sforzo di individuare una gastronomia delle zone appenniniche, i risultati furono e sono molto deludenti.

L’auspicato ed avvenuto ritorno del turismo a Napoli ha contribuito a rinnovare l’identificazione della gastronomia della regione con quella di Napoli e delle località del golfo, lasciando al resto della Campania solo qualche citazione di prodotti tipici.

 

Bibliografia

  • Guida gastronomica d’Italia, Touring club italiano, Milano, 1931 (ristampa del 1960).
  • Piero Meldini, L’emergere delle cucine regionali: l’Italia, in Storia dell’alimentazione, a cura di Jean-Louis Flandrin e Massimo Montanari, Editori Laterza, Roma-Bari, 1996.
  •   Alberto Capatti, Massimo Montanari, La cucina italiana. Storia di una cultura, Editori Laterza, Roma-Bari, 2005 (prima edizione 1999).
  • Jean-Robert Pitte, Nascita e diffusione dei ristoranti, in Storia dell’alimentazione, a cura di Jean-Louis Flandrin e Massimo Montanari, Editori Laterza, Roma-Bari, 1996, p. 602.
  • Ente nazionale industrie turistiche, Italie. Renseignements et conseils au touriste pour ses vacances en Italie, Rome, 1955, edité par le Touring Club italien, Milan, p. 60.
  • Touring club italiano, L’Italia in automobile. I due golfi di Napoli e Salerno, Milano 1955, p. 11.
  • Ente provinciale per il turismo di Napoli, Azienda autonoma di cura, soggiorno e turismo di Napoli, «Carnet del turista».
  • Domenico Porzio, Gli italiani a tavola. La Campania, in Il Milione. Enciclopedia di geografia, usi, e costumi, belle arti, storia e cultura, vol. II, Istituto geografico De Agostini, Novara, 1964.
  • Clelia D’Onofrio, La pizza vola. Un sapore mediterraneo che ha conquistato le tavole di tutto il mondo, in «Meridiani. Napoli-Costiera-Isole», anno VI, n. 28, Speciale Napoli-Costiera-Isole, pp. 90-93.
  • Guida rapida d’Italia. Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Touring Club Italiano, Milano, 1999, stampato nel 2000, pp. 68-69.
  • Guide d’Italia. Napoli e la Campania. Capri, la Reggia di Caserta, Pompei, Amalfi, Paestum, edizione del 2002 Milano, ristampa del 2004, pp. 32 e 33.
  • La grande cucina regionale. Campania, Corriere della Sera, 2005, Milano, RCS Libri spa.

[1] Guida gastronomica d’Italia, Touring club italiano, Milano, 1931 (ristampa del 1960).

[2] Napoli e dintorni, Touring club italiano, Milano, 1938, p. 81.

[3] Ente nazionale industrie turistiche, Italie. Renseignements et conseils au touriste pour ses vacances en Italie, Rome, 1955, edité par le Touring Club italien, Milan, p. 60.