Seleziona una pagina

Carla Belli

Nel ripercorrere i tempi passati uno dei punti che maggiormente attira la curiosità e l’attenzione di chi voglia ricostruire il clima di un’altra epoca è individuare la sensazione che nel normale vivere quotidiano avevano, durante i secoli dell’età moderna, gli uomini comuni, i cosiddetti uomini della strada, e cosa vedessero, anche inconsapevolmente, camminando per vie e piazze delle città a loro contemporanee. Rimane ancora nel vago quali fossero le sensazioni, il sentimento verso il nuovo che avanzava o dell’antico che si perdeva dell’uomo qualunque. Come agivano e facevano le proprie scelte tutti coloro che, a qualsiasi ceto sociale appartenessero, vivevano nel proprio cerchio familiare o strettamente lavorativo per mancanza di mezzi di comunicazione o di preparazione culturale, non avendo particolari strumenti di cognizione di ciò che li circondava? Essi sembrano apparentemente fuori della storia che, come capita a tanti personaggi nella realtà o nella letteratura, nella loro sensazione scorre al di fuori delle proprie vite.

L’immagine tradizionale della città di Napoli sin dall’epoca spagnola, e anche precedentemente, era stata quella di una città inverosimilmente affollata, in cui la esuberanza della popolazione si traduceva in una vita svolta per strada, nella quale le classi aristocratiche e borghesi convivevano con le classi popolari, pur essendo in tante occasioni rigidamente separate. Nella storia della città questi sono quasi dei luoghi comuni che tutte le testimonianze, dalle quelle letterarie dei viaggiatori, a quelle iconografiche dei grandi affreschi barocchi o del vedutismo settecentesco confermano. Per arrivare ad una visione più puntuale un primo punto di riferimento per cercare di vedere cosa effettivamente ci fosse nelle strade della città, al di là dell’immagine confusa di folla e di rumore, e di conseguenza quali percezioni i napoletani di quel tempo avessero passeggiando o soltanto attraversando vie e vicoli, lo abbiamo attraverso un documento del 1735, relativo agli introiti della “portolania”, e cioè al diritto di esigere una tassa sull’occupazione di suolo pubblico appartenente alla Città, come all’epoca veniva chiamato il comune di Napoli. Dall’ elenco delle botteghe e delle bancarelle minutamente riportato quartiere per quartiere, constatiamo che i posti di vendita e le “cacciate” all’alba in epoca borbonica erano numerosissimi e presenti in tutta la città in maniera quasi omogenea, senza che vi fossero strade in cui fosse assente il piccolo commercio e, con tipologie di botteghe o di articoli venduti che si ripetevano, senza grosse distinzioni fra via e via. La somma delle categorie di tutti i bottegai e mestieri ricordati è, per la felicità di tutti i cultori del dialetto e degli antichi usi napoletani, circa 150, tra cui acquaioli ammolaioli, anginari, baulari, bottegai candelari, cappellari zagarellari, baccalaiuoli, pollieri, ramari, tabaccari, vetrari. Da questo elenco, e dalle immagini virtuali che con un po’ di fantasia possiamo ricostruire, riappare il tradizionale aspetto della vecchia Napoli spagnola di masaniellanea memoria, affollata in tutte le sue strade, in cui non c’è distinzione fra zone più o meno nobili o popolari: si succedono venditori di ogni genere di merce, sia di prodotti alimentari provenienti dalla vicina campagna e dal mare sia di artigianato legato alla casa e all’abbigliamento. Si ha qui un riscontro preciso di quel colore locale e di quelle sensazioni che tanti passi di letteratura o racconti di viaggiatori ci hanno trasmesso e che ancora oggi ci appaiono nei grandi quadri di genere, o in manufatti artistici quali porcellane o pastori da presepe. Il panorama di Napoli vista dalla strada è quindi quello di una città di antico regime, pur con le tradizionali specificità di folla e di ressa di una capitale, con i suoi commerci e i suoi mestieri legati all’alimentazione e all’abbigliamento, popolare o di lusso. L’approvvigionamento alimentare era garantito dal grande numero di posti di vendita, “bancarelle”, dove venivano venduti al minuto i prodotti delle campagne e del mare che circondavano la città; accanto alle postazioni autorizzate possiamo inoltre presupporre l’esistenza di molte altre abusive che sfuggivano a qualsiasi controllo e tassazione.

Lo svolgersi del Settecento della vita della nuova monarchia borbonica, con il rinnovato periodo di riforme e di progressi, portarono, come è noto, ad una serie di trasformazioni sociali ed urbanistiche, prima impercettibili poi sempre più evidenti: l’apertura e l’ampliamento della città verso occidente, con lo sviluppo della zona di Chiaia, la più bella ed aperta al mare e al panorama, e quindi capace di richiamare ospiti illustri e viaggiatori; il rinnovamento della zona di san Ferdinando, su cui gravitava il palazzo reale, centro di un’intensa vita sociale e di commerci che si sviluppavano e si arricchivano con il passare del tempo di merci, di oggetti e di servizi sulle istanze dei ceti legati alla corte, dei teatri e dei forestieri, sempre più numerosi. All’alba del secolo XIX la generazione di napoletani che ha vissuto il brillante Settecento borbonico con lo sviluppo della corte e dei teatri cittadini e delle manifestazioni pubbliche connesse, ha registrato e assorbite le trasformazioni nella vita quotidiana e minuta dovute al progresso demografico ed economico, ma anche ai drammatici eventi degli anni ‘90 e della rivoluzione del ’99. La attende un nuovo periodo, egualmente denso di avvenimenti e trasformazioni: essa porta nel proprio immaginario e nella propria esperienza quotidiana i retaggi del passato e la radicata sensazione di un mondo che sta cambiando.

Possiamo ricevere aiuto da un bel documento del 1807 relativo anch’esso a tutte le botteghe presenti in città, con una suddivisione per quartiere, con i nomi degli intestatari e gli indirizzi precisi attraverso i quali possiamo ricostruire esattamente i luoghi e la dislocazione delle botteghe citate e quasi rivederle nel loro susseguirsi l’una dopo l’altra. Sono del tutto assenti da questo elenco le rivendite di generi alimentari, che naturalmente erano presenti ed in grande numero in ogni zona della città, e manca ogni riferimento ai venditori ambulanti che, pur facendo tanto colore locale, offrivano ieri come oggi la loro merce alle persone di passaggio, sfuggendo a controlli e tassazioni. L’incompletezza riscontrata ci viene ripagata da un analisi precisa e puntuale di tutto il territorio cittadino, quartiere per quartiere: qui risulta che il totale di botteghe censite è di 1867, ognuna delle quali ha la segnatura della strada e del numero civico preciso. Sono state rilevate queste categorie: locandieri, caffettieri, sorbettieri, liquoristi, pasticcieri, tavernari, trattori, pizzaioli, frigitori, bisciottieri, cappellari, mantechigliari, zagarellari, gallonari, orologiari, negozianti di generi diversi, negozianti di ragione, negozianti di tabacchi, negozianti di ombrelli, cambiamonete, faenzari e cretaioli, antiquari, modisti, cristallari, bigliardieri, franciari, banderari, bottiglieri, coppolari, organisti e cembalari, spognari, galzolari, cambisti, tartarucari, chitarrari, fibiari, mercante di metalli falsi, fabricanti di corde armoniche, mercanti di stoppa e pece, machinista, branchierari, occhialari, pastorari per un totale di 44 categorie, rappresentanti di un commercio di generi non di prima necessità e legato ad un pubblico, possiamo dire, di classi medie.

Interessantissima categoria di negozianti, per la storia del costume, sono i caffettieri, 206 in tutta la città, un numero molto elevato e quasi inaspettato. Se è vero che Napoli durante l’Ottocento sarà la città del caffé, e questo è uno dei più vieti luoghi comuni, forse non si pensava ad un così alto numero in un epoca così presta. I caffé, come è noto, erano un portato del ‘700 ed erano stati i greci provenienti dall’Oriente, sotto la spinta delle due ondate di dominazione turca, ad introdurre e diffondere l’uso del locale dove, oltre alla preparazione del prodotto grezzo importato dal levante con cotture e torrefazioni appropriate, era possibile sorbire questa bevanda in un ambiente adeguato. Era questo quasi un salotto pubblico, una versione moderna della taverna da frequentare di giorno con più misura e signorilità, e la sua presenza in tutti i quartieri, ma soprattutto in quelli più legati al movimento dei forestieri, ci fa vedere la folla di persone che si riunisce per strada e si siede per pochi minuti o per alcune ore per conversare, per sorseggiare una bibita, magari per qualche gioco anche d’azzardo o per leggere una gazzetta. Quanto poi questi luoghi siano stati durante tutti gli anni di passaggio dall’ancien régime all’età contemporanea i contesti di diffusione di voci, notizie ed idee, lasciamo alla diffusa letteratura sull’argomento la risposta. Essi sono i luoghi della sociabilità popolare, non opposta ma parallela alla sociabilità borghese o aristocratica dei salotti; nasce e si diffonde, in un reciproco rapporto di causa-effetto, una tradizione cittadina secondo la quale non ci si vede a casa, ma ci si incontra volutamente o per caso nel passeggio, e ciò rinsalda amicizie e favorisce conversazioni. La nuova attenzione e una certa piacevolezza per la vita in istrada vengono indicate anche dalla presenza di bottegai che attendono a consumi superflui o a piccole delizie: i sorbettai, 15 in tutto, in parte eredi dei venditori di neve, in parte portatori di questo nuovo uso del gelato con ogni probabilità di origine siciliana; i liquoristi, in luoghi quasi alchemici, dove si preparavano i composti per quelli che oggi definiremmo super alcolici. Anche la presenza di pasticcieri, fra cui già compare il famoso Pintauro, di origine greca, di “pizzaioli” e di “frigitori” ci dà ragione di un andare e venire per strade e vicoli non dissimile da quello dei secoli passati e dei secoli a venire, con tutte le conseguenze sul colore locale. E’ da tener presente che questi elementi della alimentazione, cibo di strada di allora, sono presenti anche nei ricettari importanti dell’epoca quali il Corrado.

All’alba del XIX secolo, nel momento in cui cominciano le grandi trasformazioni politico-sociali, la città si presenta rinnovata, anche nell’aspetto delle botteghe e delle strade, che non sono più spazi indifferenziati ma maggiormente ordinati: una organizzazione maggiore quanto maggiore era l’importanza della bottega, anche se le vecchie abitudini di “banchi e bancarielli” erano ben lungi dal morire, come sappiamo ancora oggi. La città è ricca di nuovi commerci e di servizi non solo di generi primari, ma anche di generi di lusso, ricercati dagli abitanti e dai numerosi cittadini esteri. Il posizionamento delle botteghe non è più uniforme come nel primo settecento, ma è evidente una progressiva specializzazione per zone che segue logiche di consumo e quindi di istanze economico-sociali. Il commercio dei generi alimentari destinati alla vita quotidiana è sempre un commercio al minuto, caratterizzato, secondo una tradizione che attraversa tutto il secolo, dalla presenza di banchi e postazioni per strada, senza neppure la struttura organizzata di un mercato; alla ricchezza e all’abbondanza dei prodotti della campagna e del mare si accompagna la semplicità e l’anarchia dei singoli venditori, elementi che poi hanno fatto nascere tante immagini relative al folkore napoletano.

La città risulta sufficientemente attrezzata, per quanto potevano consentire i tempi, a ricevere ospiti, stranieri e non, anzi la dislocazione di taverne e locande verso le zone più belle e di recente urbanizzazione dimostra come avesse preso piede la immagine di Napoli favorita dalla natura, che è tanta parte del mito ottocentesco. Anche la presenza della vendita di generi di artigianato di lusso indica una domanda di napoletani ma insieme di ricchi forestieri. Fra i negozianti è possibile inoltre segnalare nomi che nel futuro saranno noti ai napoletani, come dinastie di commercio, e soprattutto è da sottolineare la presenza di molti stranieri che indicano, come l’introduzione di merci e servizi nuovi abbia favorito la apertura internazionale della città e ciò sia stato merito anche di questo genere di immigrati.

In definitiva nel primo periodo francese la Napoli delle strade si presentava agli occhi del passante rinnovata rispetto al passato e nella situazione di affrontare gli appuntamenti della storia ottocentesca, dalle trasformazioni economico-sociali al dilagare dei movimenti di piazza, a livello delle altre città italiane ed europee.