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Manuel Vaquero Piñeiro

Introduzione

Dopo la nascita del Regno d’Italia, per il comparto enologico nazionale ebbe inizio una fase di radicale rinnovamento. Il punto di partenza era molto critico e tutti i giudizi concordavano nel dire che in Italia, pur avendo a disposizione un’abbondante materia prima di eccellente qualità, le tecniche di vinificazione e di commercializzazione impedivano al vino di consolidarsi sui mercati internazionali (Cova, 1988). Il ritardo accumulato era notevole rispetto ad altri paesi come la Francia e persino la Germania (Simpson, 2011), generando non soltanto delle grosse perdite economiche ma anche la creazione all’estero di una cattiva immagine del paese in quanto i consumatori stranieri rifiutavano i vini italiani espressione dell’arretratezza del paese (Unwin, 2002).

Soltanto a partire dagli anni Settanta del XIX secolo il panorama cominciò a cambiare grazie a tutta una serie di iniziative governative quali la fondazione delle scuole di viticoltura (una delle quali fu insediata ad Avellino), la concessione di premi, la fondazione di consorzi per combattere la fillossera, la creazione nelle principali città europee di una rete di depositi enologici franchi, la moltiplicazione di pubblicazioni e di materiale informativo al fine di incoraggiare tra i produttori un decisivo cambiamento di mentalità (Kovatz, 2002). Il messaggio da trasmettere seguendo una pluralità di strade era che il vino italiano adeguatamente prodotto poteva diventare una merce pregiata, in grado di conquistare i più esigenti mercati internazionali (Federico, 1992).

 

Produzione di vino in Campania

I primi dati disponibili per gli inizi degli anni Settanta indicano che le esportazioni di vino delle Provincie Napoletane oscillavano tra i 16.890 e i 72.780 ettolitri di vino sfuso e tra le 36.900 e le 50.800 bottiglie. Dal 1878 possediamo i dati riportati dagli Annuari statistici e così sappiamo che fino ai primi anni del XX secolo la produzione di vino in Campania oscillò sui due milioni di ettolitri. Se invece guardiamo l’andamento della produzione enologica divisa per province, riscontriamo delle significative variazioni: forte ridimensionamento di Caserta, Avellino e Salerno nel corso dell’ultimo decennio del XIX secolo con un’altrettanto vistoso incremento della produzione di vino nella provincia di Napoli

 

Produzione di vino in Campania (1878-1900). Ettolitri

Provincia 1878 1891 1900
Caserta 395.941 759.629 465.000
Napoli 330.220 624.293 665.167
Benevento 182.772 124.524 196.000
Avellino 335.019 776.767 498.000
Salerno 383.688 636.606 443.000
Totale 1.627.640 2.921.819 2.267.167

Fonte: Annuario statistico italiano

A partire da un ricco contesto di problematiche che si snodano lungo l’intera filiera vitivinicola, dalla parte agricola a quella commerciale passando per la fase industriale, va detto che nella seconda metà dell’Ottocento la Campania, rispetto ad altre realtà meridionali, rimasse sostanzialmente al margine della febbre di allargare a dismisura la produzione di vino da taglio, fenomeno che coinvolse in modo particolare la Puglia e la Sicilia (Dandolo, 2010). Perciò quando nel 1888 lo scoppio la guerra doganale con la Francia impose la ricerca di nuovi mercati di sbocco puntando piuttosto sulla qualità, per il vino della Campania si aprirono delle concrete possibilità di successo.

Dopo la grande crescita produttiva degli anni 1909-13 (oltre 4 milioni di ettolitri), l’inizio della prima guerra mondiale segnò una brusca battuta d’arresto (un milione e mezzo di ettolitri) ma si trattò di una contrazione di breve durata perché nel 1916 si ritornò sui livelli degli migliori anni (4 milioni di ettolitri) per superare persino i sette milioni di ettolitri nel 1917. Rispetto alla produzione nazionale la Campania produceva circa il 10% del vino italiano.

 

Cantine e imprenditori

Al di là degli aspetti prettamente quantitativi, ancora agli inizi degli anni Settanta dell’Ottocento il settore enologico della Campania appariva dominato da tutta una serie di criticità: “tranne rarissime eccezioni il vino vien fabbricato senza alcuna buona norma pratica” (De Siervo, 1882, p. 378). Mancavano i mezzi di trasporto e anche i porti costieri che consentissero un agevole imbarco della merce, ma soprattutto il settore appariva decisamente penalizzato dall’assenza di condizioni commerciali adeguate a far progredire le esportazioni a scala mondiale.

Per il vino campano un primo banco di prova internazionale fu l’esposizione di Filadelfia del 1876 alla quale parteciparono 14 espositori: Luigi Barra, Pietro Paolo Coppa, Giuseppe Scala, Andrea Guglielmini, Raffaele Lanzara, Antonio Manzi, Stanislao Milano, Benedetto Palmieri, Orazio Patalano, Raffaele Rinaldi, I. Rouff, Pasquale Scala, Società enologica partenopea e Vitiello&Torrese. Oltre ai generici “vini da pasto”, la produzione enologica campana di qualità trovò modo di presentarsi nella città americana affidandosi al Lacrima Chrysti bianco e rosso, al Capri bianco e rosso, al Falerno bianco e rosso, al Cilento, al Gragnano, al Sorrento bianco e rosso.

Tuttavia le novità più significative che segnarono un punto di svolta vanno collocate allo scadere del XIX secolo momento in cui si verificò la nascita di un’innovativa generazione di imprenditori rivolti alla produzione di vini destinati alla vendita transoceanica (Circolo enofilo italiano, 1892-1893). In questo contesto Alfredo Berner va considerato uno dei pionieri nella realizzazione in Campania di impianti e di logiche commerciali che rompevano con la tradizionale produzione di vino destinato al consumo domestico o locale. Berner era titolare di una cantina a Casalnuovo (Napoli) la cui costruzione comportò un investimento di circa 350.000 lire e presso la quale lavoravano 300 persone. Se fino al 1887 il principale mercato di sbocco fu la Francia (più di 80.000 ettolitri), successivamente la ditta Berner spostò l’azione commerciale nell’America del Sud (Uruguay e Paraguay) dove tra il 1888 e il 1891 le vendite superarono i 110.000 ettolitri. Particolarmente apprezzato si dimostrò il vino denominato “Cavallo”, in un diretto riferimento allo stemma della città partenopea.

Un altro imprenditore degno di nota era il conte nonché senatore Annibale Lucernari proprietario di una cantina a Pontecorvo (Caserta) la cui direzione, fatto questo di grande rilevanza, fu affidata a un giovane in possesso di una licenzia ottenuta nella scuola enologica di Conegliano Veneto. L’impianto costruito ex-novo seguendo gli ultimi dettami dell’architettura enotecnica aveva una capacità produttiva di 1.500 ettolitri, corredata da moderni istrumenti, macchine e apparecchi, nonché un ottimo fustame di rovere per un valore complessivo di 50 mila lire. Da ricordare poi le aziende vinicole di Camillo Dietz, del già menzionato Giuseppe Scala (Napoli) e del marchese Camillo Imperiali a Mercato San Severino (Salerno).

In termini statistici, se nel 1911 gli stabilimenti enologici attivi in Campania erano 78 per un totale di 245 operai (Censimento degli opifici, 1914) nel 1927, a dimostrazione della crescita conosciuta dal settore, gli stabilimenti attestati raggiungono 91 e gli operari 1.568 (Censimento industriale, 1929).

 

Il vino della Campania nei mercati esteri: Stati Uniti e Argentina

Seguendo una pluralità di strade, non da ultimo il ruolo dell’immigrazione italiana nella diffusione dei prodotti nazionali (si tratta però di una questione ancora da indagare nelle sue effettiva dimensioni quantitative), allo scadere del XIX secolo si consolida la penetrazione dei vini di Ischia, Procida, di Napoli in città quali New York o Buenos Aires (Rossati, 1900; Trentin, 1895). Si trattò di un percorso modernizzazione dei circuiti commerciali adoperando le nuove tecniche della pubblicità e della comunicazione commerciale (Vaquero Piñeiro, 2016). E’ il caso, ad esempio, del Pontin’s Restaurant, famoso ristorante di New York che dalle pagine della rivista della camera di commercio italiana di New York reclamizzava la cucina “all’italiana” servita in un vero giardino “all’italiana”. La sua carta di vini includeva insieme a un’ampia gamma di vini francesi e tedeschi, anche una buona selezione di vini provenienti dall’Italia. Anzitutto il Chianti ma non mancava il Lacrima Christy, reputato “one of the best wines in the word”. Per gli osservatori inviati dal governo italiano negli Stati Uniti o nell’Argentina, in funzione dei gusti e degli orientamenti alimentari della clientela locale, bisognava imparare le nascenti tecniche imprenditoriali e di marketing, da applicare anzitutto nei ristoranti di lusso, frequentati da una clientela scelta e agiata la quale, di fatto, rappresentava il parametro di misura della capacità dei vini italiani di costruirsi una solida reputazione immagine.

In conclusione. Attraverso il confronto con la concorrenza imposta dai mercati internazionali, per il vino della Campania i decenni a cavallo tra il XIX e il XX secolo rappresentarono un impegnativo ma ineludibile passo in avanti verso la qualità e la tipicità.

 

 Bibliografia

  • De Siervo, (1882), Atti della giunta per la inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola, vol. VII, fasc. I, Roma.
  • Balchini, (2002), Piccole e grandi industrie, liberismo e protezionismo, in P. Ciocca, G. Toniolo (a cura di), Storia economica d’Italia. 3. Industrie, mercati, istituzioni. 1. Le strutture dell’economia, Roma-Bari, pp. 347-426.
  • Censimento degli opifici e delle imprese industriali al 10 giugno 1911 (1914). Vol. IV. Dati analitici concernenti il numero, il personale e la forza, Roma.
  • Censimento industriale e commerciale al 15 ottobre 1927 (1929). Vol. VI. Esercizi, addetti e forza motrice nelle singoli classi e categorie nei compartimenti, nelle ripartizioni geografiche e nel Regno, Roma.
  • Chiapparino, (1998), Tra polverizzazione e concentrazione. L’industria alimentare tra l’Unità al periodo tra le due guerre, in A. De Bernardi, A. Varni (a cura di), Annali della Storia d’Italia. Storia dell’alimentazione, Torino, pp. 205-268.
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  • MONDINI, (1910), Costruzioni enotecniche, Milano.
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  • T. Unwin, (2002), Storia del vino Geografie, culture e miti, Roma.
  • Vaquero Piñeiro, (2016), La réclame enologica e l’immagine del paesaggio italiano tra XIX e XX secolo / The wine réclame and the image of the Italian landscape between the nineteenth and twentieth century, in A. Berrino, A. Buccaro (a cura di), Delli aspetti de paesi. Vecchi e nuovi media per l’immagine del paesaggio. Parte II. Descrivere, narrare e comunicare il paesaggio. L’età contemporanea, Napoli, pp. 1231-1241.