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Laura Di Fiore

Uno dei processi recentemente al centro della vasta letteratura prodotta nell’ambito dei food studies e della food history va individuato senz’altro nella patrimonializzazione del cibo. L’enfasi sul carattere processuale della costruzione del cibo come patrimonio è legato alla consapevolezza che il patrimonio identitario non costituisca un’entità ontologica quanto piuttosto il prodotto di dinamiche di appropriazione[1] attivate da determinati gruppi, comunità, società. Tali processi di heritagization (o patrimonialisation[2]) si fondano dunque su una costruzione culturale del cibo, tesa a caricarlo di paradigmi identitari e sensi di appartenenza. Le culture del cibo, naturalmente, sono tutt’altro che statiche, dal momento che vengono costantemente riprodotte e reinventate[3] attraverso nuovi valori simbolici. Per gli studi sul cibo inteso come patrimonio si rivela dunque fondamentale una prospettiva di analisi storica, che consenta di decostruire paradigmi culturali attraverso la storicizzazione dei processi della loro produzione[4].

Il concetto di patrimonio alimentare si sostanzia di un ancoraggio tanto geografico quanto storico[5]. Sul piano spaziale, esso stabilisce un profondo legame tra cibo e luogo, chiamando in causa un senso di appartenenza legato a identità di tipo territoriale. Se pensiamo al concetto di terroir[6], ad esempio, esso lega in maniera vincolante un determinato cibo a un luogo ben preciso, depositario di peculiari elementi naturali e al tempo stesso di un sapere risalente, relativo alla coltivazione e alla lavorazione di determinati prodotti. Anche il più generico riferimento a un “taste of place”[7] richiama tradizioni alimentari e produttive profondamente radicate in uno spazio geografico ben definito, che divengono oggetto di ritualizzazione in diverse occasioni, dai circuiti turistici a vari tipi di festival ai percorsi di memorializzazione.

Le identità territoriali evocate da questa declinazione geografica del patrimonio alimentare si sviluppano su scale diverse, dalla locale alla regionale, alla nazionale alla globale[8].  Esse possono essere già esistenti, quantomeno in parte, ma anche trasformate o, in alcuni casi, “inventate” dai processi di heritagization.

In questo senso una partita cruciale per la costruzione di patrimoni si gioca sul piano dell’ancoraggio storico. Culture e pratiche alimentari vengono fatte risalire a un passato più o meno remoto, spesso rievocato in toni nostalgici, di cui la “cucina della nonna” garantisce la sopravvivenza attraverso la continuità assicurata dalla trasmissione di conoscenze di generazione in generazione, in un contesto principalmente familiare. Il ricorso a concetti ambigui quali “autenticità”, “tradizione” “originarietà” evidenziano quanto delicato sia l’imprescindibile uso del passato nella costruzione di cucine-patrimonio.

Più in generale, tanto il rigido ancoraggio geografico quanto l’evocazione di un passato per molti versi mitico adombrano il rischio di un’eccessiva essenzializzazione e cristallizzazione dei modelli alimentari, che tendono a sottovalutare per un verso l’importanza della contaminazione culturale legata agli scambi e ai transfer tra differenti società, per un altro verso, i cambiamenti e le rielaborazioni di saperi e pratiche continuamente reinventate dagli individui nel tempo.

Questi nodi problematici vengono radicalizzati dalle procedure di food labelling attivate dalle istituzioni internazionali, in primo luogo l’Unesco e l’Unione Europea, che svolgono un ruolo fondamentale in relazione ai processi di patrimonializzazione. Seppur in modi diversi, entrambe tendono, attraverso i loro riconoscimenti, a sancire e ufficializzare i patrimoni alimentari e le identità territoriali a essi connesse. Per quel che riguarda in particolare l’Unesco, la Convenzione del 2003 sul Patrimonio Culturale Immateriale supera i limiti della World Heritage List istituita nel 1972, riconoscendo come Patrimonio dell’umanità non soltanto siti naturali e monumenti, ma anche “the practices, representations, expressions, knowledge, skills – as well as the instruments, objects, artefacts and cultural spaces associated therewith – that communities, groups and, in some cases, individuals recognize as part of their cultural heritage”[9]. Tra queste conoscenze e pratiche rientrano anche modelli alimentari e piatti o cucine considerate patrimonio culturale di determinate comunità, che appaiono infatti in numero significativo nella Lista del Patrimonio Immateriale messa a punto dall’Unesco dal 2008 a oggi.

Nel novembre 2016 è stata avanzata la candidatura per l’inserimento in tale lista della pizza napoletana o meglio de ‘L’arte del Pizzaiuolo Napoletano’ , attualmente al vaglio del Comitato Intergovernativo in vista del prossima sessione ordinaria, prevista per il dicembre del 2017 nella Repubblica di Corea.

La candidatura napoletana si inquadra nei processi di patrimonializzazione del cibo, alla luce della recente letteratura che ne ha posto in luce nodi e complessità, con particolare riferimento alle procedure di food labelling gestite dalle istituzioni internazionali e, in particolare, dall’Unesco. Meritano attenzione le forme in cui è stata costruita la candidatura che presenta l’arte (e il consumo) della pizza napoletana come patrimonio culturale, le modalità di utilizzo del passato, la localizzazione geografica prescelta, e infine l’intreccio tra differenti identità territoriali – locale, nazionale, globale – attivato dalle procedure di labelling internazionale.

 

Bibliografia

  • Bienassis L., Les chemins du patrimoine: de Notre-Dame au camembert, in A. Campanini, P. Scholliers, Jean-Pierre Williot (eds), Manger en Europe. Patrimoines, échanges, identités, Brussels 2011, pp. 45‑
  • Ceccarelli G., Grandi A., Magagnoli S., Typicality in history: tradition, innovation and terroir/ La typicité dans l’histoire : tradition, innovation et terroir, Brussels 2013.
  • Demossier M., The Europeanization of Terroir: Consuming Place, Tradition and Authenticity, in R. Friedman, M. Thiel, (eds.) European Identity and Culture: Narratives of Transnational Belonging, Farnham, 2016.
  • DeSoucey M., Food Traditions and Authenticity Politics in the European Union, in “American Sociological Review”, 75(3), 2010, pp. 432–455.
  • Geyzen A., Food Studies and the Heritage Turn: a Conceptual Repertoire, in “Food & History”, vol. 12, n. 2 (2014), pp. 67-96.
  • Grasseni C., La patrimonializzazione del cibo. Prospettive critiche e convergenze “sul campo”, in “Voci”, X, 2013, pp. 87-110.
  • Grasseni C., La reinvenzione del Cibo. Culture del gusto fra tradizione e globalizzazione ai piedi delle Alpi, Verona 2007.
  • Ichijo A., Ranta R., Food, national identity and nationalism: from everyday to global politics, New York 2015.
  • Parker T., Tasting French terroir the history of an idea, Oakland 2015.
  • Sammels C. A., Haute traditional cuisines: how Unesco’s List of Intangible Heritage links the Cosmopolitan to the Local, in R. L Brulotte, M. A Di Giovine (eds.), Edible identities : food as cultural heritage, Farnham 2014, pp. 141-158.
  • Trubek A. B., The taste of place : a cultural journey into terroir, Berkeley 2008.

[1] L. Bienassis,  Les chemins du patrimoine: de Notre-Dame au camembert, in A. Campanini, P. Scholliers, Jean-Pierre Williot (eds), Manger en Europe. Patrimoines, échanges, identités, Brussels 2011, pp. 45‑91

[2] Sulla differente sfumatura di significato tra i due termini cfr. C. Grasseni, La patrimonializzazione del cibo. Prospettive critiche e convergenze “sul campo”, in “Voci”, X, 2013, pp. 87-110

[3] Grasseni 2007; G.,Ceccarelli,  A. Grandi, S. Magagnoli, Typicality in history: tradition, innovation and terroir/ La typicité dans l’histoire : tradition, innovation et terroir, Brussels 2013.

[4] È in corso un progetto di ricerca europeo su questo tema, analizzato in prospettiva storica, all’Università di Bologna: Food as Heritage (CoHere-Horizon 2020) http://www.unibo.it/en/research/projects-and-initiatives/research-projects-horizon-2020-1/cohere

[5] A. Geyzen, Food Studies and the Heritage Turn: a Conceptual Repertoire, in “Food & History”, vol. 12, n. 2 (2014), pp. 67-96.

[6] M. Demossier M., The Europeanization of Terroir: Consuming Place, Tradition and Authenticity, in R. Friedman, M. Thiel, (eds.) European Identity and Culture: Narratives of Transnational Belonging, Farnham, 2016; T. Parker,  Tasting French terroir the history of an idea, Oakland 2015.

[7] A. B Trubek.,  The taste of place : a cultural journey into terroir, Berkeley 2008.

[8] A. Sammels, Haute traditional cuisines: how Unesco’s List of Intangible Heritage links the Cosmopolitan to the Local, in R. L Brulotte, M. A Di Giovine (eds.),  Edible identities : food as cultural heritage, Farnham 2014, pp. 141-158; M. De Soucey Gastronationalism. Food Traditions and Authenticity Politics in the European Union, in “American Sociological Review”, 75(3), 2010, pp. 432–455; A. Ichijo – R. Ranta,  Food, national identity and nationalism: from everyday to global politics, New York 2015.

[9] Convention, art.2.