Seleziona una pagina

Luca Palermo

Nel 1916 Arnaldo Ginna dedicò i primi minuti del suo celeberrimo film, Vita Futurista, al “Pranzo Futurista”: la scena aveva come protagonista un anziano gentiluomo, Lucio Venna (pittore futurista), mentre era intento a consumare una zuppa all’esterno di un ristorante in Piazzale Michelangelo a Firenze. Improvvisamente l’uomo veniva circondato da un gruppo di giovani futuristi, che lo accusavano di rappresentare un sistema culinario passatista.

Qualche anno dopo, l’11 gennaio 1921, Filippo Tommaso Marinetti scriveva nel Manifesto del Tattilismo che “la distinzione dei cinque sensi è arbitraria e un giorno si potranno certamente scoprire e catalogare numerosi altri sensi.”

A partire da questa sorta di disarticolazione della molteplicità dei sensi e ricombinando gli stessi in un modo del tutto nuovo ed innovativo, i Futuristi misero le radici per modalità estetiche nelle quali anche il cibo avrebbe rivestito un ruolo di primaria importanza.

Nel 1930, quanto finora sottolineato trova conferma sulle pagine della Gazzetta del Popolo di Torino del 28 dicembre, dove fu pubblicato, per la prima volta, il Manifesto della Cucina Futurista scritto interamente da Marinetti ma firmato anche da Filia. Si trattava di un insieme di pensieri e convinzioni riguardanti la cucina e la gastronomia con l’obiettivo di promuovere una cucina avanguardistica,  nella quale avrebbe dovuto essere del tutto abolito l’ “alimento amidaceo assurda religione gastronomica italiana”.

È noto, tuttavia, che furono il meridione d’Italia e Napoli a fare assurgere la pasta a dignità gastronomica, soprattutto dopo l’introduzione in cucina, nel seicento, del pomodoro. Eppure il rapporto tra il futurismo e Napoli era ben saldo: per Marinetti, Venezia, Roma e Firenze erano “le tre piaghe della nostra penisola, città-museo, morte e improduttive, legate all’antiquario e al turismo”; di Napoli, al contrario, apprezzava il carattere edonistico ed improvvisatorio degli abitanti[1]; il poeta dopo Trieste, Milano e Torino, programmò il 20 aprile 1910 la quarta serata futurista al Teatro Mercadante di Napoli,  durante la quale egli stesso lesse il Primo Manifesto del futurismo e, successivamente, Boccioni declamò il Manifesto tecnico della pittura futurista. Alla prima serata del 1910 ne seguirono altre come quella del 26 giugno dello stesso anno,  durante la quale Marinetti tenne il suo discorso Sulla Bellezza e la necessità della violenza e quella del novembre 1911 che portò, per la prima volta a Napoli un concerto di musica futurista.

Nel febbraio del 1916, Boccioni era nuovamente a Napoli e per tale occasione presentò il suo Manifesto Futurista ai Pittori Meridionali, procedendo a fornire una chiave di lettura dell’attività degli artisti napoletani e meridionali che era al tempo stesso comprensiva per le ragioni di obiettivo disagio in cui operavano e di stimolo per un effettivo riscatto.

Uno dei primi approcci alla cucina i futuristi lo ebbero proprio a Napoli: nella primavera del 1922 ad un pranzo nel celebre Caffè Gambrinus di Napoli, in compagnia dei poeti Ferdinando Russo e Salvatore Di Giacomo e del giornalista Peirce, al momento di ricevere dal cameriere, su un lungo vassoio d’oro, una magnifica spigola perché ne annusasse la freschezza, Marinetti, tra lo stupore dei commensali, esclamò: “Bellissimo, sembra un siluro!”[2].

Un siffatto rapporto tra il capoluogo campano e il movimento futurista rischiò, tuttavia, di incrinarsi proprio a causa delle idee gastronomiche promosse nel manifesto del 1930, nel quale, come detto, scagliandosi contro la pasta, Marinetti non esitò a criticare il popolo napoletano.

Nel Manifesto della cucina futurista si legge: “Forse gioveranno agli inglesi lo stoccafisso, il roast-beef e il budino, agli olandesi la carne cotta col formaggio, ai tedeschi il sauer-kraut, il lardone affumicato e il cotechino; ma agli italiani la pastasciutta non giova. Per esempio, contrasta collo spirito vivace e coll’anima appassionata generosa intuitiva dei napoletani. Questi sono stati combattenti eroici, artisti ispirati, oratori travolgenti, avvocati arguti, agricoltori tenaci a dispetto della voluminosa pastasciutta quotidiana. Nel mangiarla essi sviluppano il tipico scetticismo ironico e sentimentale che tronca spesso il loro entusiasmo”[3]. La pastasciutta, nelle
innumerevoli declinazioni di tipi e formati,
rappresenterebbe secondo Marinetti il principale ostacolo al sogno: “Si pensa si sogna e si agisce secondo quel che si beve e si mangia”[4].

La politica futurista anti-pasta era in linea con i dettami alimentari professati da Benito Mussolini: la pasta, infatti, era ottenuta dalla lavorazione di grano importato e, per tali ragioni e per motivazioni di ordine economico, il leader fascista quasi impose agli italiani di preferire ad essa il riso[5]. Le idee di Marinetti ebbero, come facilmente intuibile, molti detrattori e pochi sostenitori. Tali critiche, secondo il poeta, erano mosse da individui e riviste che, “poco scientificamente, obbediscono alla prepotenza del loro palato. Sembrano parlare a tavola, in una trattoria di Posillipo, la bocca beatamente piena di spaghetti alle vongole. Non hanno la lucidità spirituale del laboratorio. Dimenticano gli alti doveri dinamici della razza, e il turbine angoscioso di splendide velocità e di violentissime forze contraddittorie che costituisce la vita moderna”[6].

Ciò che Marinetti auspicava era la creazione di “bocconi simultanei e cangianti che contengano dieci, venti sapori da gustare in pochi attimi […]. Un dato boccone potrà riassumere una intera zona di vita, lo svolgersi di una passione amorosa o un intero viaggio nell’Estremo Oriente”[7].

La cucina futurista è, dunque, una cucina sinestetica: si trattava, quindi, di sperimentazioni che incoraggiavano l’interazione tra il gusto e gli altri sensi. Il tatto, ad esempio, era fortemente incoraggiato, come visto, dalla volontà di abolire dalla tavola le posate: in tal modo, il corpo di colui che si apprestava a mangiare del cibo era totalmente coinvolto nei processi nutrizionali.

L’intervento mira alla ricostruzione storico-artistica, attraverso parole ed immagini, delle vicende legate al manifesto del 1930, alle ricette futuriste e al modo in cui l’ambiente napoletano si pose nei confronti dei dettami gastronomici futuristi. La questione, ancora poco nota agli studi di settore, offre uno spaccato sul mondo futurista nazionale e campano lontano da quelli solitamente approfonditi da studiosi e storici dell’arte. Una questione, tuttavia, che permette di cogliere una ulteriore sfaccettatura di quella Ricostruzione Futurista dell’Universo di cui si fecero portavoce Marinetti e i suoi ‘seguaci’.

 

Bibliografia

  • “Il cuoco futurista, ovvero Jules Maincave intervistato dal giornalista Charpentier”, Gazzettino Azzurro, 7, 16 agosto 1914.
  • “Supplica dei futuristi liguri a F.T. Marinetti”, in Oggi e Domani, 19 gennaio 1931.
  • Apollinaire, “Cuisien Modern”, in Le Passant, 18 gennaio 1912.
  • Apollinaire G., “Le Cubisme culinaire (Le Gastro-Astronomisme ou la Cuisine nouvelle)”, in Fantasio, 1 gennaio 1913.
  • Arnyvelde, “Un cusinier futuriste”, Les Annales Politiques et Littéraires, XXXI, 2 novembre 1913.
  • Charpentier, “La cuisine futuriste”, in Fantasio, VIII, 171, 1 settembre 1913.
  • T. Marinetti, L’originalità napoletana del poeta Salvatore di Giacomo, Casella, Napoli 1936.
  • Gatta, Bibliofilia del gustoDieci itinerari tra libriletteratura e cibo, Macerata, Bibliohaus, 2008.
  • Golan, “Ingestion/Anti-pasta”, in Cabinet, 10, Spring 2003.
  • Helstosky, “Recipe for the Nation: Reading Italian History Through La scienza in cucina and La cucina futurista”, in Food and Foodways, XI, 2 (2003), pp. 113-140.
  • K. Kaufman, Remembrance of Meals Past: Cooking by Apicius’ Book, in H. Walker (a cura di), Food and Memory, Devon Blackawton, Totnes, 2001.
  • T. Marinetti F. T., “Il Manifesto della cucina futurista”, in Gazzetta del Popolo, 28 dicembre, 1930.
  • T. Marinetti, “Contro Roma passatista”, in Guerra sola igiene del mondo, Milano 1915.
  • T. Marinetti, “La cucina futurista. Manifesto della cucina futurista”, in La Fiera Letteraria, III, 21, 22 maggio 1927.
  • F.T.  Marinetti e Filia, La Cucina Futurista, Milano, Sonzogno, 1932.
  • Salaris, Cibo futurista: dalla cucina nell’arte all’arte in cucina, Roma, Graffiti, 2000.

[1] F. T. Marinetti, “Contro Roma passatista”, in Guerra sola igiene del mondo, Milano 1915.

[2] M. Gatta, Bibliofilia del gustoDieci itinerari tra libriletteratura e cibo, Macerata, Bibliohaus, 2008, p. 33

[3] F. T. Marinetti, “Il Manifesto della cucina futurista”, in Gazzetta del Popolo, 28 dicembre, 1930. Ristampato in Luigi Scrivo, Sintesi del futurismo: storia e documenti, prefazione di Alberto Viviani, Roma, Bulzoni, 1968, pp. 188-189. Il Manifesto della cucina futurista verrà ristampato da Marinetti in La cucina futurista, scritto insieme a Fillìa (Luigi Colombo), Milano, Sonzogno, 1932. E’ stata pubblicata una edizione anastatica, con introduzione di Pietro Frassica, Milano, Viennepierre edizioni, 2007, pp. 25-34.

[4] F.T. Marinetti e Filia, La Cucina Futurista, Casa Editrice Sonzogno, Milano 1932, p. 26.

[5] Cfr. R. Golan, “Ingestion/Anti-pasta”, in Cabinet, 10, Spring 2003.

[6] F.T. Marinetti e Filia, op. cit., p. 35; eppure Marinetti con alcuni di questi intellettuali aveva un rapporto di stima ed amicizia. A Salvatore di Giacomo, ad esempio, dedica, nel 1936, un suo trattato, cfr. F. T. Marinetti, L’originalità napoletana del poeta Salvatore di Giacomo, Napoli, Casella, 1936.

[7] Ivi, pp. 33-34.